La moda è un campo di battaglia

E vince la guerra solo chi sa giocare a scacchi con il capitalismo.

C’è una certezza granitica che domina il mondo dei giganti: soldi e potere non sono mai sufficienti. Si crea un circolo vizioso inevitabile, fatto di desideri e necessità che devono essere soddisfatti a ogni costo. Lo sa bene Bernard Arnault, l’imprenditore francese noto come l’uomo più ricco del mondo, che negli anni Ottanta ha cambiato l’industria della moda, segnandola per sempre.

Bernard Arnault – LVMH.

Nato nel 1949 da una famiglia borghese della provincia francese, sviluppa un istinto visionario e imprenditoriale fin dalla giovane età. Dopo gli studi, entra in società con il padre, proprietario di un’impresa di costruzioni già consolidata, con l’ambizione di espanderla a livello nazionale e internazionale. 

I risultati non tardano ad arrivare e la Ferret-Savinel sbarca negli Stati Uniti. È il 1984, un anno apparentemente ordinario, ma in realtà cruciale per Arnault. L’imprenditore, spinto dalla sua inarrestabile ambizione, decide di acquisire il gruppo Boussac, allora in gravi difficoltà finanziarie. La mossa di Arnault non è mirata all’azienda tessile, un tempo fiorente produttrice di pregiati tessuti, quanto al vero gioiello del gruppo: Christian Dior. Arnault è disposto a conquistare il marchio a qualsiasi costo, anche se ciò significa tenersi Dior, rivendere il gruppo Boussac e licenziare 8.000 dipendenti. 

La stampa lo definisce “Il lupo in cashmere” o, per chi preferisce, il “Deluxe Terminator”, ma lui non si lascia impressionare. Ha una visione chiara del suo obiettivo e sa esattamente come raggiungerlo, indipendentemente dalle sfide che ciò comporta.

Prosegue nella sua ascesa acquisendo aziende di moda rinomate, come Louis Vuitton, e senza scrupoli scarica i membri delle famiglie che li gestivano da secoli. Dopo estenuanti battaglie giudiziarie, Arnault vince, prende il controllo della maison Louis Vuitton e dimostra ancora una volta che le persone non funzionali alla sua attività sono meri oggetti di cui disfarsi rapidamente. 

Le aziende in suo possesso aumentano e il conglomerato LVMH (Louis Vuitton Moët Hennessy) continua ad accogliere nuovi marchi di abbigliamento, vini e alcolici, orologi e gioielli, profumi, editoria, hotel e ristoranti, nonché a investire in fondazioni artistiche. Tuttavia, alla presa tentacolare di Arnault sfuggono due prestigiose case di moda.

La prima è Chanel, maison francese di proprietà dei fratelli Wertheimer, che finora non hanno mostrato interesse a cederla. La seconda è Gucci, dietro la quale si cela una storia davvero sorprendente. Nel 1990, quando lo stilista Tom Ford si unisce al marchio italiano, che è sull’orlo del fallimento a causa di una gestione familiare negligente, il CEO Domenico De Sole è alla disperata ricerca di un’acquisizione salvifica.

Domenico De Sole e Tom Ford.

Bernard Arnault continua a incrementare le sue quote di Gucci, ma De Sole e Ford cercano di contrastare il suo cammino, definito “strisciante”, verso il totale controllo del gruppo. In un tentativo di resistere alla sua presa, decidono di emettere nuove quote a favore dei dipendenti, diluendo l’importanza di quelle acquistate dal magnate francese. Uno stratagemma, questo, che non scoraggia Arnault; anzi, lo irrita a tal punto da portare il duo in tribunale per tutelare i suoi interessi. Nel frattempo, De Sole si incontra con un imprenditore francese, che si propone come quello che in gergo economico viene definito “cavaliere bianco”, ovvero una figura di spicco capace di intervenire per salvare l’azienda da un’acquisizione indesiderata.

Così nel 1999, De Sole, Ford e il misterioso “cavaliere bianco” annunciano la nascita del Gruppo Gucci. Il cavaliere, entrato in possesso del 42% delle azioni, può togliere il mantello e rivelare la propria identità. Si tratta di François Pinault, fondatore del gruppo PPR (Pinault-Printemps-Redoute), rinominato Kering nel 2013.

François Pinault – PPR/Kering

Arnault conosce bene Pinault: francese, appassionato di moda e lusso, e abile imprenditore come lui. Sì, perché Pinault, ancora giovanissimo, abbandona gli studi per unirsi all’azienda di famiglia specializzata nella lavorazione del legno. Come il suo rivale, ha grandi ambizioni di espansione e acquisisce aziende del settore, tra cui Conforama, i magazzini Printemps, e La Redoute. 

La guerra inizia

Il colpo basso inflitto ad Arnault non passa inosservato, e l’imprenditore, incalzato dai media, commenta:

Io e Pinault siamo amici, avrebbe potuto comunicarmelo personalmente.

La risposta serafica di Pinault, il lupo travestito da cavaliere bianco, è eloquente: 

Quando si dichiara guerra non si si comunica luogo e ora dell’attacco.

Pinault si guadagna così il ruolo di antagonista, dimostrando di essere all’altezza di una sfida in cui il vincitore è solo colui che attua la strategia più efficace con il massimo coraggio. Nel 2003, decide di non rinnovare i contratti in scadenza di Ford e De Sole, incolpandoli di agire con eccessiva libertà senza il suo consenso. Pur consapevole delle enormi perdite sia dal punto di vista estetico che economico, Pinault non indietreggia. Saluta l’iconica estetica “porno chic” creata da Ford, che aveva portato Gucci al vertice dell’industria, e prosegue con gli affari, puntando su Yves Saint Laurent.

Estetica porno chic di Tom Ford.

Mentre François Pinault si concentra sulla costruzione del suo impero, Bernard Arnault dimostra di essere altrettanto ambizioso e astuto. È proprio lui a cogliere un’intuizione capace di rivoluzionare la percezione del lusso e degli affari. Se prima del 1996 i conglomerati guadagnavano principalmente vendendo vestiti, tutto cambia nel dicembre di quell’anno.

In una fredda serata d’inverno, il Met Gala celebra i cinquant’anni della Maison Dior con un’ospite d’eccezione, la Principessa Diana. L’anno precedente, aveva ricevuto in dono una borsa Dior dalla première dame francese in occasione della mostra dedicata a Cézanne, e proprio sul red carpet decide di sfoggiarla, ma con un formato diverso. Quel piccolo quadrato in raso blu con lavorazione cannage, coordinato all’abito-vestaglia creato dallo stilista della maison, John Galliano, conquista tutti. Le vendite schizzano alle stelle, e Arnault coglie l’opportunità insita negli accessori per far decollare i fatturati. Il resto è storia.

Lady D. e l’iconica borsa Dior. 

Oggi in testa chi c’è?

Oggi, LVMH conta 75 maison leader in sei diversi settori. Loro Piana, Fendi, Céline, Marc Jacobs, Dom Pérignon, Ruinart, Moët & Chandon, Hennessy, Tiffany & Co, Bulgari, Hublot e Sephora sono solo alcuni dei brand del gruppo che contribuiscono a un fatturato annuo in costante crescita e stimato intorno agli 86,2 miliardi di euro (fonte www.lvmh.it). Il “sultano dell’eleganza” ha raggiunto l’obiettivo di diventare l’uomo più ricco del mondo, e ha recentemente stabilito un altro record, diventando l’unico imprenditore europeo a detenere un’azienda valutata 500 miliardi di dollari. 

Ma le ambizioni di Arnault non si fermano ai soldi, quanto al potere, e ha recentemente siglato un accordo storico per le Olimpiadi di Parigi 2024 con una sponsorship di 150 milioni di euro, vale a dire il 10% delle sponsorizzazioni private complessive. Le sue aziende saranno coinvolte nella produzione di medaglie (Chaumet), nella fornitura di bevande e alcolici (Moët e Hennessy), nella creazione di divise e merchandising per gli atleti (Louis Vuitton, Berluti e Dior) e nell’apertura dell’evento con l’iconica fiaccolata (firmata Sephora).

Una convergenza, quella tra moda e sport, ormai collaudata e straordinariamente efficace. Gli atleti stanno mostrando un interesse senza precedenti per il mondo della moda e Arnault lo aveva previsto in tempi non sospetti. Nel 2008, l’azienda orologiera Hublot ha sostenuto i Mondiali di calcio come sponsor ufficiale; nel 2010, Louis Vuitton ha stretto una partnership con la Fifa; nel 2022, ha persino lanciato una campagna pubblicitaria con Messi e Ronaldo, in un’inedita sfida proprio… a scacchi.

Messi e Ronaldo per Louis Vuitton.

Cosa succederà dopo i giochi olimpici? 

La sensazione è che l’industria della moda non sarà più la stessa. Se le previsioni si rivelassero corrette, un pubblico di ben 4 miliardi di spettatori sarà testimone della presenza costante di maison firmate LVMH. Non si tratta solo di un’incredibile opportunità economica e di marketing, ma anche di un trampolino di lancio per un nuovo territorio inesplorato: quello degli influencer-atleti.

Questa nuova generazione di iconici sportivi sarà il cuore pulsante di una rivoluzione senza precedenti nei media e nei canali di comunicazione e sponsorizzazione. Per LVMH, ciò significa più di una semplice espansione aziendale: rappresenta l’apertura di nuovi orizzonti fino ad ora sconosciuti, e significa aprire le porte a una nuova generazione di potenziali clienti non solo interessati alla moda, ma agli alcolici, agli alberghi di lusso, ai profumi e persino ai trasporti. Un’interconnessione sinergica che abbraccia tutti gli ambiti della vita moderna e riflette la visione imprenditoriale unica di Arnault.

In attesa di decretare il vincitore, su quali nuovi territori si sfideranno?

Il gruppo Kering di Pinault, nonostante l’annuale fatturato di 19,6 miliardi di euro leggermente in calo e il tracollo in borsa dovuto alla performance deludente di Gucci, non resta a guardare. Al contrario, sta attivamente cercando di rimanere in gara investendo in giovani direttori creativi che possano rinvigorire i marchi come Bottega Veneta con Matthieu Blazy e Saint Laurent con Anthony Vaccarello.

Intanto si è già delineato il nuovo campo di battaglia in cui si sfideranno i due giganti francesi: il settore immobiliare di lusso. Negli ultimi anni, i flagship store sono diventati sempre più grandi, più lussuosi e più ricettivi grazie all’introduzione di servizi esclusivi per la clientela VIP, come bar, ristoranti, esposizioni temporanee ed eventi culturali che aggiungono un ulteriore livello di esclusività e coinvolgimento per il cliente.

Entrambi i gruppi stanno investendo nel settore immobiliare come strategia per consolidare la loro presenza nel mercato del lusso e distinguersi dalla concorrenza. Una strategia lanciata – ancora una volta – da Monsieur Arnault nel lontano 2000, quando si aggiudicò il negozio Louis Vuitton la celebre Fifth Avenue di New York.

Louis Vuitton Store – New York.

Tuttavia, l’entità e l’ambizione dei progetti immobiliari attuali sono senza precedenti. Se nel 2007 LVMH investì 60 milioni di dollari per quel negozio, oggi si parla di investimenti che sfiorano la cifra miliardaria. Basti pensare a Kering, che di recente ha sborsato 963 milioni di dollari per un immobile nella stessa via, o a Prada Spa, che ha acquistato due edifici adiacenti per 835 milioni di dollari. 

È il caso di dire che la sete di potere, danaro e vittoria che anima il capitalismo, saprà certamente sorprenderci. E finché ci sarà competizione, ci sarà guerra.

Che mondo sarebbe senza Arnault e Pinault?

Cosa avremmo scritto oggi se il mondo della moda non avesse mai incontrato l’interesse di Arnault e Pinault? Forse avremmo delineato un panorama più libero, dove i creativi avrebbero potuto esplorare senza le restrizioni imposte dai rigidi imperativi dei conglomerati, ma più probabilmente avremmo scritto una storia desolante, con molte delle maison di moda più iconiche condannate a chiudere i battenti, prive del sostegno economico e della guida di leader industriali così influenti. Realtà come Christian Dior, Givenchy e Saint Laurent sarebbero destinati a diventare solo ricordi lontani, relegati forse solo a licenze per firmare profumi e cosmetici.

Ecco cosa hanno compiuto Arnault e Pinault. Al netto delle mosse oscure e intricate che hanno licenziato pedoni, sfruttato cavalli, logorato alfieri e acquistato torri, hanno espanso e reso il settore della moda, e quelli ad essa associati, ancora più desiderabile, esclusivo ed elitario. Ma su quale re farà scacco matto, ancora non possiamo essere certi. La partita è ancora aperta.

News della settimana: 

Eventi della settimana:

  • Il Museo Maxxi allestirà la mostra “Memorabile: Ipermoda” dal prossimo novembre fino a marzo 2025
  • Se siete a Milano, vi suggerisco un giretto alle Gallerie d’Italia. Troverete la mostra per i 100 anni di Damiani. L’azienda di gioielleria di Valenza ha scelto i 100 iconici capolavori che hanno reso grande il marchio. Fino al 28 aprile 2024
  • L’ultimo lavoro di Banksy è una critica al greenwashing o un monito verso il cambiamento climatico? Lunedì sera l’opera d’arte ha sorpreso Londra, scelta ancora una volta come stage per fare arte. Una colata di vernice verde sulla parete di un palazzo si tramuta in chioma di un albero spoglio posto proprio davanti alla struttura. Clicca il link per le immagini
  • C’è tempo fino all’1 aprile per recarsi in Triennale e visitare la mostra “I need to live” del fotografo tedesco Juergen Teller. Un mostro sacro della moda
  • Oggi inaugura la mostra “Walter Albini. Il talento, lo stilista” al Museo del Tessuto di Prato. Ci sarà tempo fino al 22 settembre per scoprire quella che forse è la raccolta più completa e inedita di informazioni e storie dedicate allo stilista definito da Women’s Wear Daily “il nuovo astro italiano forte come Yves Saint Laurent”. Insomma, colui che ha creato la moda italiana come la conosciamo oggi

13 commenti su “La moda è un campo di battaglia”

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